La pneumologia a domicilio e la battaglia di Paola Nepi per la formazione di chi assiste

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Dalla visita ad Arezzo e in Valdarno un possibile modello e una proposta per la sanità toscana.    

Qualche giorno fa ho osservato, direttamente durante lo svolgimento delle consuete operazioni, un servizio di sanità territoriale che funziona. Non che questa sia di per sé una notizia, nella nostra regione ce ne sono molti. Ma questo servizio racchiude, a mio avviso, molte cose che possono essere prese come esempio di buona pratica e che per questo possono anche costituire un modello da valorizzare e replicare su scala regionale.

Il servizio è quello della U.O di Pneumologia territoriale, che nell’ex Azienda Asl di Arezzo, oggi ASL Area Sud-Est, è operativa dal gennaio 2006.

La principale missione della struttura è la presa in carico e l’assistenza continuativa e programmata di pazienti con patologie respiratorie, prevalentemente gravi e croniche. E in particolare, viene svolta a domicilio nel caso dei pazienti più gravi.

Questa attività riesce a svolgersi su tutta la Provincia di Arezzo, seguendo Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali (PDTA) consolidati, grazie all’integrazione delle varie articolazioni del servizio sanitario, l’Agenzia Ospedale-Territorio, i Medici ospedalieri e i Medici di Medina Generale.

Il punto centrale è proprio questo: non solo la sostenibilità economica, ma anche la capacità di dare risposte di qualità per la salute dei cittadini, da parte del nostro sistema sanitario pubblico, passa necessariamente dall’integrazione dei livelli e dalla riorganizzazione del sistema territoriale di presa in carico, anche dei casi più gravi.

I bisogni di sanità della nostra società sono molto cambiati nel tempo, l’invecchiamento della popolazione e l’aumento dell’aspettativa di vita, insieme allo sviluppo delle cure, hanno prodotto un quadro epidemiologico dove l’elemento prevalente sono le cronicità, la continuità delle cure e dell’assistenza. Serve un sistema che riduce l’accesso ai presidi ospedalieri e anche per questo migliora la qualità della vita del paziente.

Soprattutto perché, come nel caso degli interventi che ho visto direttamente, ad avere necessità di questa assistenza sono casi in cui l’attività respiratoria e compromessa da patologie come la Sla o la distrofia muscolare. Pazienti privi di mobilità e in condizioni cliniche complesse, per i quali gli spostamenti verso i presidi ospedalieri sarebbero molto problematici oltre che rischiosi dal punto di vista infettivo.

Il gruppo di lavoro, guidato dal dott. Marco Biagini e dal dott. Paolo Vivoli con il coordinatore infermieristico dott. Claudio Panaro, è in grado di erogare giornalmente, mediante apparecchiature portatili ad elevata tecnologia, esami strumentali necessari per i controlli periodici (dalle spirometrie, saturimetrie ed emogasanalisi, fino all’endoscopia toracica, le toracentesi sotto guida ecografica) e la sostituzione delle cannule tracheotomiche.

Questo, appunto, oltre a evitare spostamenti per il paziente, permette di ridurre il ricorso a ricoveri ospedalieri e accessi in Pronto Soccorso in caso di riacutizzazione, di abbattere le degenze, di contenere le spese con la revisione costante delle terapie farmacologiche, di permettere dimissioni più rapide con la presa in carico territoriale multi professionale.

Una rete e un incrocio di professionalità della quale fanno parte la pneumologia, la nutrizione, la terapia del dolore che si attiva e che raggiunge il paziente a domicilio, riducendo anche i costi per il sistema sanitario.

I numeri parlano di oltre 500 pazienti valutati e presi in carico a domicilio nel 2015, 1316 accessi specialistici medico-infermieristici a domicilio, 184 le sostituzioni di cannula tracheostomica (oltre 2000 dal 2006), eseguite tutte a domicilio applicando le disposizioni ministeriali e aziendali, senza nessuna grave complicanza in acuto.

Ho assistito ad alcuni interventi di sostituzione della cannula tracheostomica, e ci tengo a sottolineare oltre alla qualità e alla professionalità degli interventi, anche il rapporto di umanità, di personalizzazione, nel quale questi si svolgono rispetto ai pazienti e alle loro famiglie.

Uno di questi interventi è stato per la signora Paola Nepi, a Montevarchi, che si trova da anni immobilizzata a letto dalla distrofia muscolare e che necessità del respiratore. La sua vicenda si è già incrociata con la Regione Toscana e con le nostre istituzioni regionali, soprattutto per quanto riguarda la sua battaglia per la formazione professionale regionale delle persone che si prendono cura di lei così come di molte persone malate o anziane.

Le cosiddette badanti, quindi, che nella maggior parte casi sono donne, prevalentemente straniere, in molti casi riescono ad acquisire ottime capacità di cura della persona, ma tra le quali sono rarissime le persone che dispongono di una qualsiasi formazione.

Qui potete leggere il suo appello, pubblicato da La Repubblica di Firenze nel 2014:

la mano di Paola Nepi mentre scrive utilizzando un apposito cursore

Su questo Paola Nepi, che nonostante le difficoltà continua a battersi, e a scrivere – muovendo un dito su un apposito cursore – libri, raccolte di poesie, ha scritto un monologo teatrale che si intitola “Le mani addosso”. Le mani sono quelle che toccano il suo corpo, che ha bisogno di queste mani per sopravvivere, ma come lei ci racconta non tutte le mani sono uguali. Alcune lo sanno toccare, altre no. E per chi quotidianamente è costretto a dipendere dalla mani degli altri, questo è un problema.

Un tema sul quale Paola Nepi si è confrontata personalmente con gli ultimi assessori toscani alla Sanità, ma che ancora non è riuscito a dare i propri frutti. Una proposta che non riguarda solo lei, ma apre il campo a una esigenza ampia e diffusa, viste le tante persone e famiglie che hanno bisogno dei servizi di una badante.

Nel nostro incontro, Paola, che ritiene di non aver ancora molto tempo per raggiungere questo obiettivo, mi ha chiesto di riportarlo all’attenzione.

Mi sembra una buona idea. Perché è giusto, sotto diversi aspetti, che l’assistenza domiciliare acquisisca un profilo professionalizzato. Da un lato, le famiglie potrebbero scegliere tra le “badanti” che hanno fatto una specifica formazione, con maggiori garanzie dal punto di vista delle capacità e della preparazione rispetto a una attività così delicata come quella dell’assistenza agli anziani e ai non autosufficienti. Dall’altro, chi si offre per svolgere questa attività, potrebbe farlo in maniera da emergere da un mercato oggi prevalentemente disorganizzato e spesso anche troppo opaco, con effetti anche sull’emersione del lavoro nero. Persone che avrebbero anche una maggiore possibilità di ricollocarsi al momento di cambiare datore di lavoro.

E soprattutto, avrebbero mani molto più capaci di posarsi addosso alle persone che gli affidiamo.

Su questi temi, la possibilità di replicare l’esperienza della pneumologia aretina su scala regionale, e quella di creare le condizioni per una formazione professionale per l’assistenza e la cura della persona, la Regione Toscana potrebbe intraprendere un’azione che coinvolga anche le organizzazioni del terzo settore e della pubblica assistenza.

E’ dal care-giving, la capacità di presa in carico del paziente e di prendersi cura della persona, ponendola al centro di una sistema a rete, nel quale i medici di medicina generale svolgano un ruolo centrale e intorno al quale si vadano a collegare i servizi sanitari specialistici e territoriali, riducendo gli accessi ospedalieri, che passa l’avvio di una vera “rivoluzione sociosanitaria”, in grado di rispondere, anche in prospettiva futura, alle esigenze di cura della persona e di consolidare il sistema e il ruolo della sanità pubblica.

una foto dello spettacolo teatrale “Le mani addosso” scritto da Paola Nepi (foto di M. Carroccia fonte: https://lemaniaddosso.wordpress.com

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