POLITICHE DI GENERE

Dalla differenza delle donne una nuova civiltà: libertà e cura del vivere.

L’esperienza comune femminile ci parla di cura della vita, di reciproco aiuto tra generazioni, di costante lotta per libertà e diritti sociali per affermare relazioni umane più libere e responsabili affrancate da violenza e umiliazioni. È il significato essenziale delle battaglie del movimento politico delle donne. La dialettica con esso ha segnato ciò che ha reso peculiare la società e il Governo della Toscana: la diffusa cultura di sinistra, progressista e democratica. Oggi la questione che si pone è potenziare e rigenerare, alla luce del protagonismo delle nuove generazioni di donne, la ricchezza delle conquiste ottenute: la rete di servizi per garantire più autonomia delle donne a partire dalla lotta contro la violenza maschile, il rispetto della libertà di scelta su sessualità e maternità, la tutela della salute riproduttiva, il contrasto ad ogni tipo di discriminazione. Noi difendiamo tenacemente i traguardi raggiunti e sosteniamo i passi che sono ancora da fare di fronte alle nuove contraddizioni.

Ancora una volta, nella difficile fase della diffusione del Coronavirus, l’esperienza femminile si è mostrata fondamentale negli ospedali, nei supermercati, nelle abitazioni divenute anche luoghi di lavoro e di istruzione. In quel momento di esacerbazione di insicurezza, povertà, emarginazione degli anziani, disuguaglianze, discriminazioni, le donne hanno corrisposto con sapienza, creatività e tanta fatica ai molteplici bisogni: il lavoro fuori e dentro casa, la salute, l’istruzione, l’accudimento, l’aggiornamento tecnologico, la cura degli ambienti domestici e tanto altro. Hanno svolto un ruolo centrale che ha dimostrato tutta l’urgente necessità di un ribaltamento delle priorità dell’agenda economica e sociale: alla cura delle persone va riconosciuto il valore sociale, culturale ed economico ovvero, quell’attività così vitale ma oggi invisibile, deve diventare la base di un nuovo paradigma dello sviluppo.

Un più alto tasso di occupazione delle donne diventa un obiettivo credibile se si risponde contemporaneamente alla domanda “chi si occupa del lavoro di cura”. Serve una poderosa discontinuità, anche in Toscana con le politiche economiche che dopo aver impoverito il welfare con i tagli indiscriminati e le sirene privatistiche, vorrebbe continuare a sostituirlo con l’erogazione gratuita di prestazioni femminili. C’è una seria minaccia che la crisi in atto diventi un enorme passo indietro per i lavori, il reddito, le pensioni, i servizi sociali, la salute psicofisica delle donne. Ci sono già i segni, anche in Toscana. Sarebbe un affronto alla soggettività delle donne le quali, malgrado gli ostacoli, vogliono essere indipendenti, autonome e non rinunciare alla cura della vita perché ne conoscono bene il valore e perché è il loro modo differente di stare al mondo. Più ricco.

Si tratta di riconoscere le molteplici pratiche per il buon vivere altrui di cui le donne, oggi, sono più capaci, ma che, se socializzate e riequilibrate tra i sessi, potranno forgiare nuovi servizi, nuove forme di organizzazione del lavoro e perfino nuovi modelli culturali. È la chiave con cui creare nuovi buoni lavori e soprattutto modi di lavorare in cui bisogni, libertà, progettualità, diritti, risul-tati, verifiche, benessere vadano di pari passo. Mai come oggi le donne sono in prima linea per un salto di civiltà generale in cui, produzione e riproduzione, lavori e vita siano ripensati in connessione e non in alternativa, in cui la cura è redistribuita tra i sessi e non uno scontato compito femminile che il primato della produzione ha svalorizzato. La bussola delle nostre politiche è puntata sulla promozione dell’autonomia economica femminile, sul rispetto dell’autodeterminazione delle scelte di maternità e sessualità contro ogni forma di violenza degli uomini.

Sono scelte di valori che non riguardano solo le donne, ma aprono la strada di un inedito benessere collettivo come quello che si trarrebbe da uno sviluppo che oltre alla digitalizzazione e all’economia verde, punti a infrastrutture sociali volte alla salute collettiva, all’istruzione, alla cultura, al turismo di qualità.

Oggi la migliore Europa ci offre una messe impensata di risorse a cui la Toscana, nelle sue prerogative, deve saper attingere con competenza, celerità, concretezza e giustizia. Almeno la metà di esse devono servire per l’occupazione e la promozione dei diritti delle donne. A questo proposito va congegnata una valutazione dell’impatto di genere e la predisposizione del bilancio di genere per tutti i fondi; va realizzato un “Care Deal” per lo sviluppo di servizi che consentano a tutti i genitori di mantenere un lavoro retribuito e un sano equilibrio di vita; va praticato l’uso di statistiche disaggregate per genere sul lavoro non retribuito e retribuito come base per un nuovo calcolo del PIL; vanno obbligate le aziende che ricevono aiuti o sovvenzioni di documentare che questi fondi vanno a beneficio dei dipendenti di tutti i generi in egual misura.

Affinché la ripresa e la ricostruzione della Toscana siano orientate sulla promozione dei diritti e dell’autonomia di vita delle donne serve un nuovo rapporto tra donne e Regione. Da una parte è imprescindibile la volontà di valorizzare a tutti i livelli dell’apporto delle donne, consapevoli che, a questo proposito, tra dire e fare c’è ancora uno scarto da superare. Dall’altra è auspicabile l’apertura di una fase di partecipazione deliberante in cui coinvolgere il ricco mondo femminile delle associazioni, dei sindacati, del volontariato, delle istituzioni culturali.

Noi vogliamo unire questi due aspetti: ci impegnano a sostenere l’elezione e la nomina di più donne in Regione e dall’altra abbiano a cuore il legame da realizzare costante con le donne che pensano e agiscano in tutti i gangli della società.

È solo da questo legame che nasce una buona politica delle donne, quella che cambia in meglio la vita di tutti e tutte.

DIRITTI CIVILI

Nel 2004 la Regione Toscana fu pioniera nell’approvare la Legge Regionale n. 63 Legge regionale 15 novembre 2004, n. 63 Norme contro le discriminazioni determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere, con la quale si riconosceva il diritto di ogni persona all’autordeterminazione in ordine all’orientamento sessuale e l’identità di genere, promuovendo iniziative volte a contrastare eventuali discriminazioni.

A sedici anni dalla sua approvazione, sarebbe opportuno verificare i risultati conseguiti dalla legge indicata e rilanciare alcuni

ambiziosi obiettivi in relazione ai diritti delle persone LGBTIQ* che, ponendosi in continuità con i principi sanciti dalla Legge del 2004, consentano di intervenire su alcune priorità quali:

  • attivazione effettiva di una Consulta che coinvolga le associazioni e le organizzazioni maggiormente attive sul riconoscimento e la tutela dei diritti civili;
  • il potenziamento, anche attraverso l’attività dei Consultori, di un livello territoriale di ascolto e accompagnamento in materia di educazione, orientamento sessuale e identità di genere;
  • attivazione di una rete regionale contro le discriminazioni e per il sostegno all’inserimento lavorativo per persone LGBTIQ*;
  • promozione di una cultura del rispetto dell’altro e delle diversità.
  • promozione di progetti specifici nelle scuole, di ogni ordine e grado atti a promuovere una cultura delle differenze, del rispetto e dell’inclusione, con particolare riferimento alla realtà delle famiglie arcobaleno, al bullismo omolesbobitransfobico e alla misoginia;
  • promozioni di azioni che mirino a far sì che il Parlamento legiferi al più presto per il riconoscimento di uguali Diritti per tutti i bambini e le bambine del nostro Paese, con particolare riferimento ai figli e alle figlie delle famiglie arcobaleno;
  • riconoscimento dei nuclei familiari “anagrafici” con due genitori dello stesso sesso (anche in assenza di sentenza specifica) nelle situazioni di competenza regionale (es. accesso scolastico, graduatorie alloggi popolari, punteggi concorsi regionali, ecc).

SOLIDARIETÀ E ACCOGLIENZA

Se, come i recenti annunci della Ministra dell’Interno Lamorgese, i decreti sicurezza emanati dal Ministro Salvini saranno definitivamente superati, il nostro paese tornerà ad essere più umano e anche in linea con le convenzioni internazionali sui diritti umani rispetto alle migliaia di esseri umani, emigrati e fuggiti dai loro paesi a causa di guerre, dittature, povertà, carestie e cambiamenti climatici.

Qui c’è un terreno importante di civiltà per la Regione Toscana che, fuori da ogni retorica sui fasti del passato, deve comprendere da un lato le esigenze concrete di cittadini migranti e dall’altro che la presenza di queste persone, dei loro figli e delle loro organizzazioni sociali, culturali e produttive nella nostra Regione possono essere linfa vitale per lo sviluppo sociale, economico e culturale della Toscana. Da qui passa una linea di divisione profonda fra centrosinistra e la destra, anche in Toscana e qui c’è una ragione importante per riproporre una alleanza di governo in Regione che eviti il rischio del governo della destra: se c’è un settore in cui la differenza fra destra e sinistra è più vivo che mai è quello delle politiche verso i cittadini stranieri. Non è questione di chi viene prima (la insopportabile retorica xenofoba del “prima gli italiani” o “prima i toscani”), ma di come politiche di accoglienza e di inserimento formativo, sociale, lavorativo e culturale di migliaia di cittadini stranieri possa far crescere la nostra Regione.

Per questo, il superamento dei decreti sicurezza di Salvini deve coincidere con un nuovo protagonismo della Regione Toscana e degli enti locali in questo settore, esattamente come fu alcuni anni fa con il modello dell’accoglienza diffusa che il governo di Enrico Rossi mise in pratica nei momenti dell’emergenza sbarchi e che poteva ben rappresentare un modello per tutto il paese, proprio per la sua capacità di coinvolgere il territorio e le comunità della nostra Regione.

Il tema è ancora questo. Anche per effetto del decreti Salvini il rapporto dei cittadini stranieri, migranti e non, si è concentrato nel rapporto con le Questure, le Prefetture, la polizia perché è stato interpretato come un problema di sicurezza; invece il rapporto più intenso e corretto dovrebbe essere con gli enti locali perché è una questione di sviluppo sociale, economico e culturale.

Da questo punto di vista Regione Toscana de Enti Locali dovranno prepararsi a questa nuova fase e affrontare, concretamente i problemi che i cittadini migranti si trovano quotidianamente ad affrontare e, al contempo, mettere in atto una strategica di inserimento sociale.

Anche per effetto del Covid, si dovrà affrontare e risolvere positivamente la tendenza a rendere il cittadino straniero autonomo e più fiducioso nei rapporti con la Pubblica Amministrazione locale, anche attraverso gli strumenti online. Ma qui c’è un grande lavoro di alfabetizzazione informatica da fare nei confronti di queste persone e di dotazione di strumenti per rendere questo obiettivo raggiungibile. Ma soprattutto occorre maggiore efficienza complessivamente nella Pubblica Amministrazione locale nei rapporti con i cittadini stranieri: tempi lunghi e ritardi (che in Toscana superano addirittura la “Bossi-Fini” che prevedeva un limite di 90 giorni per ottenere il permesso di soggiorno, arrivando fino a 180 giorni), diventano di fatto elementi pregiudizievoli per la concreta attivazione di diritti umani fondamentali. Questo problema burocratico può essere risolto solo se le autorità statali competenti (le Questure, in particolare) accettano di costruire una“alleanza”strategica con gli enti territoriali e con le realtà del terzo settore attive sul territorio, per rendere più efficiente e, al contempo, includente e umana l’azione della Amministrazione. Siamo, drammaticamente, passati dall’idea di “l’Italia sono anch’io” per dare cittadinanza ai nati in Italia da cittadini stranieri (che per esclusiva ignavia della politica non si è trasformata in realtà) a negare la “carta di permanenza illimitata” ai figli di stranieri che già hanno tale carta, con il risultato disumano e incomprensibile di dare a questi bambini solo il permesso temporaneo. Sono irrigidimenti e interpretazioni discrezionali e ottusi delle norme volute dalla destra in questo paese.

Ma compito della sinistra è rendere la vita più umana alle persone, avendo a riferimento dei valori di umanità, accoglienza, inclusione sociale e uguaglianza: se non fa questo, la sinistra non ha più senso di esistere. Per noi questo è un impegno centrale, finanche fondativo, di una presenza nel governo della Toscana. La prospettiva di una maggiore, vera, efficiente collaborazione fra le diverse articolazioni dell’Amministrazione pubblica nei riguardi dei cittadini stranieri è un concreto programma di governo che poggia su valori che ci distinguono nettamente e insanabilmente dalla destra.

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