Dimmi di chi sei figlio e ti dirò chi sei. Welcome in Italia dove se nasci in una famiglia della classe dirigente diventi classe dirigente nel 63% dei casi. Per tutti gli altri la possibilità è del 7,3%. Il Rapporto annuale dell’Istat fotografa l’esplosione delle disuguaglianze. 3,6 milioni di famiglie senza redditi da lavoro. Scompaiono la classe operaia, la borghesia, le professioni artigiane. Aumentano i lavori dequalificanti, ultra precari, diffusissimi tra i giovani.
In Europa l’Italia è ancora maglia nera per tasso dei giovani Neet, pari a 2,2 milioni, il 24,3 per cento di coloro tra i 15 e i 29 anni. Non va meglio per la generazione precedente: 7 under 35 su 10, ovvero il 68,1 per cento del totale, vivono ancora a casa con i genitori.
In stato di povertà assoluta 1,6 milioni di famiglie, il 28,7% a rischio di povertà o esclusione sociale. 3,6 le famiglie senza redditi da lavoro, il 13,9 del totale. Si chiamano nuclei ‘jobless’, dove si va avanti grazie a rendite come affitti o aiuti sociali. 6,4 milioni di disoccupati che vorrebbero un’occupazione ma che hanno smesso di cercarla attivamente.
Qualcuno, però, anche in Italia, spende. E parecchio. Basti pensare che i consumi della famiglie più ricche sono oltre il doppio di quelle più povere: 3.810 euro al mese contro i 1697 della fascia più svantaggiata.
I giovani con professioni qualificate provenienti da nuclei familiari meno abbienti sono il 7,4 %; rispetto al 63,1 per cento dei figli della classe dirigente. Netto il divario tra la possibilità di accesso al mondo della conoscenza e delle opportunità lavorative tra ricchi e poveri. Uno schiaffo alla redistribuzione della ricchezza, al diritto allo studio, al tanto famigerato principio del merito.
Non stupiamoci se l’Italia rimane un Paese dove la quota di over 65, con il 22%, è la più elevata dell’Unione Europea, con uno tra i tassi di invecchiamento più alti al mondo. Nel 2016 si registra un nuovo minimo storico delle nascite. l numero medio di figli per donna si attesta a 1,34 (1,95 per le donne straniere e 1,27 per le italiane). La differenza tra nati e morti arriva a toccare quota -134mila. Frutto di una pressoché nulla politica a sostegno delle nascite.
Al contrario le donne sono generalmente più istruite degli uomini ma rimangono svantaggiate nelle carriere professionali. Solo il 12,2 per cento delle top manager è donna. Un gap di genere ancora troppo forte.
A milioni di italiani non sono garantite le condizioni economiche e sociali che consentono il pieno sviluppo della personalità umana, come afferma l’articolo 3 della Costituzione. Cresce il numero di coloro che rinunciano alle cure, specie alle visite specialistiche, perché troppo costose. Tra il 2008 e il 2015 il tasso è cresciuto dal 4 per cento al 6,5 per cento.
Siamo di fronte a una vera e propria esplosione delle disuguaglianze sociali. Le conseguenze della mancanza di lavoro diventano feroci. Si risparmia sul cibo, sulle cure, sulla formazione. Per una sempre più ampia fetta di cittadini si riduce il margine di agibilità e di miglioramento delle condizioni di vita. Chi ha di più ottiene sempre di più. Si è bloccato l’ascensore sociale.
Mentre negli ultimi anni sono state sprecate importanti opportunità. Penso a quei 50 miliardi spesi in bonus senza limiti né di reddito né di territorio, fascia sociale o settore economico. Penso a quanto sia stato ingiusto.