No al Cpr. La Toscana ha un altro modello. La vera urgenza è abolire leggi sbagliate.

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Mi unisco decisamente alle numerose voci di dissenso che si sono sollevate contro l’ipotesi rilanciata dal Sindaco di Firenze Nardella, disponibile ad individuare, in raccordo con altri amministratori locali, un sito per la realizzazione di un Centro di permanenza e rimpatrio per migranti  (Cpr) nel territorio metropolitano fiorentino o comunque in Toscana. Un’idea che purtroppo torna ciclicamente e sulla quale nel marzo 2019 il Consiglio regionale si è espresso impegnando la Giunta a confermare la propria contrarietà rispetto all’apertura di tali strutture nella nostra regione.

Si tratta, infatti, di un modello dannoso fallimentare, di luoghi di detenzione non meglio precisata, dove rischiano di finire non certo solo persone che hanno commesso reati, come si vuole sostenere in nome di una presunta sicurezza, ma anche persone senza alcuna pericolosità sociale e che si trovano ad essere irregolari a causa di leggi sbagliate. Veri e propri incubatori di disperazione che rischiano piuttosto di generare e favorire la criminalità, anche molto costosi dato che necessitano di personale, strutture e finanziamenti anche cospicui.

I problemi nascono piuttosto a monte, con la legge Bossi-Fini, che purtroppo resiste da 18 anni, perCpr la quale non è possibile arrivare in Italia in maniera regolare e dai più recenti “decreti sicurezza” di Salvini, che hanno cancellato i permessi per motivi umanitari, rendendo irregolari da un giorno all’altro centinaia di migranti che si trovavano regolarmente in Italia. La vera urgenza, quindi, non è avere un Cpr in Toscana, ma il superamento della Bossi-Fini e l’abolizione dei famigerati decreti sicurezza. Così come è necessario innanzitutto rilanciare il sistema Sprar, definire i flussi migratori e prevedere corridoi umanitari europei, cancellare il memorandum con gli aguzzini libici, lavorare in sede europea per la riforma dei trattati di Dublino.

In Toscana abbiamo un modello di accoglienza diffusa che ha dimostrato di funzionare, di saper fare sistema andando oltre le logiche sbagliate della paura e dell’emergenza costante, di essere in grado di lavorare per l’integrazione con esperienze di impegno sociale e di lavoro. Dobbiamo piuttosto continuare a rafforzarlo, investendo su questo risorse che hanno anche ricadute positive sui territori e sulle comunità. La Toscana, in tema di immigrazione, ha scelto la via di un sistema diffuso di accoglienza, una scelta politica e culturale al tempo stesso, che non ha bisogno di essere cambiata.

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